La fine del silenzio e altri racconti: i due anni di Unspoken
«Innanzi tutto ci vorrebbe troppo tempo: il mio nome cresce costantemente, e io ho vissuto molto, molto a lungo, perciò il mio nome è come una storia. I nomi propri narrano le vicende delle cose a cui appartengono, nella mia lingua, che voi chiamereste Vecchio Entese. È una lingua stupenda, ma per dire una cosa qualsiasi s’impiega un’infinità di tempo, perché noi preferiamo non dire una cosa, se non vale la pena di perdere molto molto tempo per dirla e ascoltarla.»
È così che risponde Barbalbero quando i due hobbit Merry e Pippin gli chiedono come si chiami, nel secondo romanzo che compone il Signore degli Anelli. Queste parole risuonano intimamente in me: quando le ho lette ho pensato di averle sempre sapute, in fondo. Anzi, questo è il motivo per cui esiste questo blog. Perché alcune cose hanno bisogno di tempo e spazio per crescere, per iniziare a respirare e camminare con le proprie gambe, per percorrere strade che non ci aspetteremmo. Alcune cose hanno bisogno di tempo. Su questo blog scrivo poco, molto poco, ma quello che scrivo è una minuscola percentuale delle idee e dei pensieri stratificati nel corso delle settimane e dei mesi. Quello che scrivo è quello che merita di essere scritto e fermato su carta, che merita il tempo necessario a leggerlo e farlo proprio. Non scrivo niente di importante né rivoluzionario, ci mancherebbe, ma quando lo faccio, per lo meno mi sembra di star scrivendo una cosa di importante per me, e che magari qualche persona avrà voglia di leggere.
Mi sono sempre piaciuti i romanzi così lunghi che ci si perde dentro o le lunghe canzoni, perché c’è tutto il tempo per far sì che le idee, i suoni, le parole, si facciano strada e ti entrino nella carne. Mi sembra che le cose importanti abbiano bisogno di molto tempo per essere scritte e dette. Sono scuse stiracchiate per la mia pigrizia, lo ammetto, ma è davvero uno dei motivi per cui continuo a scrivere così poco su questo blog. Nel corso dell’anno ho abbozzato e appuntato decine di idee per articoli e recensioni, ma davvero pochi hanno visto la luce. Il perfezionismo, la paura di non essere all’altezza dell’argomento trattato, anche la pigrizia, mi hanno fatto mettere in stand-by moltissime idee. Alcune ancora frullano nel retro della mia mente e forse prima o poi riuscirò a pubblicarle. Oltre a questo, il 2022 è stato anche un anno in cui ho lavorato ad un progetto separato dal blog che mi ha richiesto tempo e soprattutto energie mentali.
In un anno succedono tantissime cose, tantissime altre se ne dimenticano. In quest’articolo provo a fare il punto, a capire dove sono e cos’è diventato questo blog. Il 2022 è stato tantissime cose e tra le tante è stato un anno di inesauribili scoperte musicali.
Soprattutto, il 2022 è stato l’anno dell’acufene. La fine del silenzio. Il mio acufene è iniziato a marzo, e da allora è stata una presenza costante, un’ombra a volte appena tangibile, a volte minacciosa. Mi ci sono voluti mesi per accettare e per imparare a convivere con il mio acufene e ancora oggi mi rendo conto che è un processo appena all’inizio. Dall’ansia e dall’angoscia dei primi mesi, sento di essere arrivato ad una quasi normalità, eppure qualche volta mi ritrovo ancora a pensare che fino a che vivrò non sentirò mai più il suono del silenzio, e allora sento sullo stomaco un qualcosa di denso, di pesante, che per un po’ mi forza il respiro. Non capita più così spesso, ma quando questo pensiero mi attraversa la mente posso percepirlo come qualcosa di fisico, come un’angoscia che posso toccare allungando le dita. La mia sfida non è imparare a sopportare l’acufene, no, è imparare ad accettare il fatto che questo ronzio che muta impercettibilmente, che si alza e si abbassa secondo la sua volontà, che questo ronzio probabilmente non avrà mai fine.
Ci sono voluti mesi anche per capire come comportarmi, cosa posso fare e cosa no. Per imparare a rispettare le mie orecchie, a capire quando sono stanche, a capire come evitare di sforzarle troppo, per riconoscere un falso pericolo da una situazione che può aggravare davvero l’acufene. La prima volta che ho avuto il coraggio di tornare in un club è stato a settembre e praticamente sono scappato dopo qualche minuto. Ma, piano piano, sto imparando ad addomesticare le mie sensazioni e le mie paure, sempre con la massima cautela.
Eppure ho avuto bisogno di tornare a ballare. Non potevo sottrarmi. La musica dance ha un valore culturale e collettivo, certo, rappresenta la mia visione del mondo e i miei valori. Ma ho realizzato con il tempo che ballare è anche qualcosa di intimo e solitario: una forma di terapia che consiste nel lasciarsi andare in maniera controllata, per riuscire a guardare le proprie paure e i propri baratri più inaccessibili. Perché quando finalmente il corpo si arrende al ritmo, smette di opporre resistenza, ti sembra che sia tutto più semplice, una volta tanto. Di essere al posto giusto e nel momento giusto, un volta tanto. Di esserci, una volta tanto.
Il centro di questo mio anno musicale è stato, senza dubbio, il Club2Club, che tra l’altro quest’anno ha festeggiato la sua ventesima edizione. È stato un rito meraviglioso tornare da lezione, prepararmi, andare al Lingotto a piedi, provare a far passare la frutta e la cioccolata ai controlli e poi, dopo otto o nove ore di follia, tornare a casa nel freddo e nella nebbia delle mattine di novembre, con le orecchie che ancora ronzano di tutta la musica. Il Club2Club si è riconfermato un’esperienza indimenticabile, una full-immersion che mi ha ricordato ancora una volta che la musica elettronica è capace di stupirmi, di emozionarmi, di intimidirmi, di ricordarmi chi sono. Soprattutto, è stato un rifugio fatto di persone belle, allegre, rilassate, che erano semplicemente se stesse.
Il terzo anno del blog sta per cominciare, quindi. Nei prossimi mesi vorrei realizzare alcune idee che ho in mente da un po’ e che penso possano rendere il blog più efficiente e anche più comodo da fruire. Vorrei scrivere di più, soprattutto dei dischi che ascolto – che poi sono il centro e l’origine di tutto questo. Spero di riuscire a portare più recensioni e di riuscire a rendere giustizia a tutti i suoni meravigliosi che attraversano le mie orecchie. Perché in fondo il punto di origine e di arrivo di tutto quello che scrivo è la musica – niente di più, niente di meno.
Nota: la bellissima fanart in copertina è della disegnatrice @frskdraws su Twitter. Non sono riuscito a contattarla per chiedere l’autorizzazione ad usarla, quindi nel caso se ne accorga, mi scriva se vuole che la rimuova.
Hello,
another year went by. For me it was like days getting shorter and shorter. So much to do, so little time. From this point I totally agree with you that you only select the necessary things to talk about. But as I got older I would like to talk to my younger me and encourage him to get more things done. I should have listened more good music. I should have made more music. In the past I was not quite sure whether it sounded good. But at this point it doesn’t matter. It’s a piece of myself that I can’t deny. But as I have so much things left incomplete I have only a fractured picture. It may sound like mid life crisis but it’s more time to consider what you want to see in 30 years time. Is it someone who will say >>Look at the things I have done<>I started to many things but none of them are finished<< It's a difficult to choose the right path because you don't know which story you want to tell in the future 😉 But that's just my opinion.
I've read your story about your tinnitus and I really feel sorry for you. I know the annoying whistling sound in my ears but gladly I only have it from time to time.
For 2023 I would like to read more about the records you've bought. I like the carefully selected words you've chosen, about what you hear and feel about the music you like.
Hi! It’s good to hear from you. I mean, in a certain sense it’s a good thing when days became shorter and shorter, when you do so many things that you love and that bring you joy.
You are probably right, I start so many project and then I finish very few of them. I write a lot and I know that one day I will find all those memories again, but at the same time, I share with others only a very little part of all them. I think that I just don’t want to add noise to the noise, that when I write something (or when I make a mixtape and so on), it’s something worth reading and listening, or at least I hope so. That’s why I don’t like posting on social media, it’s seems to me like trying to shout in a noisy room. I use this blog to create a safe space for the things I love, and for the things I created with love.
Yes, I would like to write more reviews from now on. There is Streetlands by Burial, Joy Orbison music, a lot of classics I discovered (the KLF or em:t ambient label), and it’s sad that I’ve never talked about this music here.
I would love to hear your thoughts about KLF! The two main reasons why I would like you to write about it, because it’s too intense for me. At that time when they released their music, I was very young and heavily influenced by their music. Not just because it was so good but also hit so many genres in such a unique way. And their whole concept of denying copyright, creating a cult around their band makes it quite difficult for me to gather all these informations in my head and write it down.
Well it’s really difficult for me too, and I don’t really think I will write something in the near future. I discovered them last year, as I said, and I listen to them through the lens of a young person. When KLF released their music I wasn’t even born. KLF give to me a special feeling of nostalgia, not only nostalgia for a lost past, but mainly nostalgia for a lost future. It seems to me that KLF music belongs to an era when everything seemed possible, and when electronic music artists were imagining and creating the future. I can find this special feeling in dance music acts such as the first Orbital albums and the firts Detroit techno artists too. Sometimes I think that I start listening to electronic and dance music in a era in which electronic artists have stopped imaginind a future, and they’re just trying to preserve the past. I mean, I love techno, but now it seems such a conservative genre (from an haestetic point of view, at least). KLF music reminds me of an era I didn’t experienced in which everything seemed possible and in which people were still dreaming.
I don’t know, it’s a complex subject and I don’t really know how to decently put it in words (and it reminds me a lot of the themes inside Burial’s music and all the Mark Fisher discourse around hauntology) but that’s why I am so fascineted by KLF music.
I can’t explain what your comment means to me! For a few months I was thinking, I am getting old. That it is only me, sticking to past music because new releases always sound like copies of older songs. Because that’s what I associate with getting old: Listening to old music and claiming that there’s nothing new.
The reason why I was thinking this way was because of a record I bought last year. It was John Beltran’s limited edition of Aesthete. Limited to 80 pcs. It was completely unclear to me why this record was still available one year after it’s release in one of the UK’s biggest online stores. Now you’ve changed my mind. Or in other words – it’s not a matter of age, it’s the music or people are lesser interested.
You’ve inspired me with your comment to a new episode of my electro-space monthly series. The first one will be about KLF because I’ve noticed that in my last episode I was talking too much about my first contact with their music, but not so much about KLF themselves. And after I have finished writing this new blog (will be published in a few weeks) I am happy with the result. I am now confident that I know quite a lot of their music and about their music.
Yes. I wasn’t exactly talking about the quality of the music or the fact that less people are interested today. I was talking about a vibe instead, about the macrocultural level of electronic music. I think people used to dream about possible futures, and now they are only trying to concentrate on to make the present pass as fast as possible, to think as little as possible about the future. I’m not sure there are political reasons, probably yes. And then this reflects on the music and the “direction” of the music. Your review about KLF will be interesting, I’m looking forward to it. If it’s in article format I will read it.
I decided to write something about this, too, but it will take me some time. There is a piece I was writing some months ago, and maybe I need to get back to it.
Oh, something in one sentence is missing… Is it someone who will say “Look at the things I have done” or is it the person that will mumble “I started to many things but none of them are finished”